martedì 18 settembre 2012

Sopra il mare di nebbia



 "Schiarisci un po', si, ecco ora va bene, perfetto, grazie" disse con il solito tono deciso che terrorizzava gli assistenti.
"Dottoressa, aspetti, non è ancora completo"  tentò mestamente di obiettare il tecnico accorgendosi che ormai Ruina aveva avviato la procedura di connessione "Come sa c'è il rischio di un crashdown, non abbiamo mai saltato il passaggio di fix dei dati..." aggiunse con un filo di voce guardandosi intorno sconsolato nella speranza che il resto dello staff lo sostenesse, ma nemmeno un cenno, tutti rimasero immobili immersi sul proprio pannello luminoso.
"Codardi" pensò.
A quel punto si poteva solo proseguire e sperare che tutto andasse bene.
"Accidenti a lei e alla sua fretta di ottenere risultati." - ma non ebbe il coraggio di dirlo e quindi diede il segnale di avvio.
"Attivate la connessione, ora, presto!"
Il silenzio nel laboratorio si fece immediato e pesantissimo, tutti operavano adesso ad alto livello, competenti e consapevoli delle proprie responsabilità.
Mani velocissime in ogni postazione sfiorarono i tablet, con gesti in sincrono come tanti musicisti in concerto.
I tecnici del front-end, ad intervalli regolari, posizionati nei loro stand satelliti intorno alla sala, indossando virtual glove fluorescenti inserivano le sagome del flusso, con un gesto ampio che sembrava lanciassero sassi contro la parete, attivando centinaia di blocchi logici in parallelo.
Un estraneo sarebbe rimasto impressionato come davanti ad una sinfonia di gesti, luci e colori, completamente senza suoni, capace di sprigionare la potenza di un miliardo di supercalcolatori.

Dopo un attimo ecco materializzarsi nebbie e rocce puntute, evidente rappresentazione di uno stato emotivo di tensione.
"Stavolta la dottoressa non si sente sicura, ha pensieri fumosi" ridacchiò il neuroingegnere sottovoce, calvo e occhialuto, sollevando un brusio di approvazione fra i suoi pari altrettanto calvi e occhialuti.
"Ma dai, sta eseguendo l'idea alla perfezione, il tema stavolta era proprio il contrasto fra bellezza della natura e terrore atavico. E' una vera artista, quasi più brava di te Janua" e si voltò sorridendo ad un'adolescente acconciata come un tamagochi che fissava l'ambiente a bocca aperta.
"In effetti non era scontato che due sentimenti così contrastanti si potessero rappresentare insieme, con due materie così diverse la coesione non è garantita" ammise Janua, la neurodesigner, aggiungendo poi un po' invidiosa "ammetto che uno scenario del genere non lo avrei realizzato neppure in un giga di anni, è difficilissimo creare una efficace commistione di densità statica e di atomi evanescenti. Come li chiamate voi? ah sì, nebbia,  praticamente acqua galleggiante"
"Janua, ad essere precisi la nebbia è il fenomeno meteorologico per il quale una nube si forma a contatto con il suolo, è costituita da goccioline di acqua liquida o cristalli di ghiaccio sospesi in aria. Dal punto di vista ottico a causa della diffusione della luce solare da parte dell'acqua in sospensione la nebbia si manifesta come un alone biancastro che limita la visibilità degli oggetti...." Michael il climatologo, pignolo di carattere, era appena partito con la sua lezioncina per correggere la grossolana affermazione di Janua ma venne subito interrotto dal vociare dei controller.
"Guardate là, che succede? Vedete anche voi?"
"Che strano, al centro è comparsa una figura."
"Un terzo livello materico, per giunta organico?"
"In questa sessione non doveva esserci nessun tag antropomorfo." disse con una punta di ansia il responsabile della verifica di coerenza dei dati "lo avevamo calcolato nei dettagli".
"Eppure c'è e sembra certamente un uomo che osserva il paesaggio. Non ci sono dubbi"
"Chiederemo le quote rosa anche nell'aurasmaworld." ironizzò Anita, la biosociologa.
"Ad essere precisi è solo la metà posteriore di una figura umana, ha un'aria bidimensionale, potrebbe essere un layer sfuggito in qualche prova"
"Smettetela! In ogni caso, se non lo abbiamo programmato noi ci sono solo due ipotesi, o lo ha aggiunto la dottoressa come mutazione del programma iniziale senza avvisarci, e ne sarebbe capace, o... o..." il tecnico esitava a completare il suo pensiero.

"O c'è un intruso nel sistema, ovvio." aggiunse per lui l'ingegnere.
A quel punto tutti iniziarono a parlare concitati e la confusione si fece totale:
"Ovvio un accidente!"
"Già, ora si che si fa complicata la faccenda"
"Se è un intruso Ruina deve stare attenta ad inserirsi nella sua zona d'ombra, non deve farsi vedere"
"Come possiamo avvisarla?"
"Possiamo inserirci in tandem con lei"
"No, non c'è l'handle, per aggiungerlo e farlo maturare in modo da poterci inserire occorrono circa 16 ore"
"Allora possiamo attivare la wavechat real time di emergenza"
"Ma se non l'abbiamo neppure mai provata"
"Già, ma in qualche modo dobbiamo riportarla indietro"
"Se non completa il ciclo di test e la formazione almeno al 90% dello scenario previsto praticamente buttiamo al vento sei mesi di lavoro"
"E' una situazione di emergenza. Siamo obbligati al recupero, come priorità"
"Diamoci da fare allora".

[....to be continued]


(S.Dini  "Mare di nebbia" - Episodio di fantascienza in forma di aurasma su  Caspar David Friederich 1818, Il viaggiatore sopra il mare di nebbia)

venerdì 31 agosto 2012

Inseguiamolo all’infinito (con dialoghi)


Il binocolo inquadra una zona rotonda, azzurro scuro, con azzurognoli lampi lunari. Quell’antico strumento ottico di puntamento, definito di prima generazione, sebbene rozzo è ancora valido perché è piccolo, di uso istantaneo e consente immediatamente una zoomata assai forte e sebbene riduca l’ampiezza di visuale mantiene una nitidezza e una luminosità realistica difficile da ottenere artificialmente.
Ecco che nel tondo fra le chiome scure degli alberi appare una figura umana, fluida, scarsamente materica, diafana, simile ad un ragazzino con una lunghissima chioma ramata. L’essere tenta di nascondersi dietro ai tronchi agile e incerto insieme, tradito dalle striature metalliche che emana
“Eccolo, è laggiù, un esemplare magnifico.”
“Dove? non riesco più a vedere bene.”
“Sssh, parla piano, vuoi che ci senta? –zittisco irritata il tecnico e uso l’indicatore laser – là, dritto davanti a noi, appena sotto la luna, dove inizia la macchia di alberi.”
“Ehm, ho le protesi quasi scariche, non immaginavo che questa sessione avrebbe assorbito tanta energia, e ieri non lo ho collegate alla rete.”
“Magnifico… - storco il naso. Il solito dottorando alle prime armi, sbiascico fra me, poi penso che ha un QI elevatissimo e che in fondo all’inizio siamo stati tutti un po’ in difficoltà ad inserirci, così faccio un commento per metterlo a suo agio –  nel senso che è davvero unico. Fai attenzione, ti invio il video in real time sul terminale: dalle movenze rivela ancora un certo grado di inesperienza, l’avranno immesso nel sistema da pochi giorni, una settimana non di più. Vedi come si agita? È nella fase acuta di Koohn, quella in cui il soggetto in ambiente incerto non sa se provare a vincere o farsi scoprire. Come ben sai, un’entità bionetica mentre elabora una soluzione al problema decisionale deve togliere inevitabilmente energia al sistema di stabilizzazione materica, ecco il motivo per cui oscilla, non riesce a stare immobile quanto invece vorrebbe. Ma è stato abile a celarsi dietro la macchia, vicino alla sorgente lunare per fuggire facilmente in caso di estremo pericolo. Hai annotato queste misure?”
“Si, certo dottoressa, l’ho fatto –  mi risponde Marcus mentre appallottola energicamente nella mano la pagina di pellicola a led verdi, il più rapido sistema di salvataggio e compressione dati finora trovato dagli ingegneri – ma – esita leggermente timoroso -  sarei interessato a poterlo osservare anche io direttamente, le spiacerebbe passarmi un Leddle?”
“Eccolo – mi sento materna - ricorda che devi prima formattarlo e ritararlo sulla tua visuale altrimenti rischi di avere sovrapposti i layout delle visioni immagazzinate dagli utilizzatori precedenti” – lo redarguisco mentre gli allungo di malavoglia la mascherina di riserva in poli-flex, la costosissima fibra sperimentale fornita in dotazione ai bioricercatori, con circuiti visori potenziati intessuti nella trama.
“Ecco, lo vedo bene –esclama e la sua voce rivela esaltazione - ad un esame planimetrico potrebbe apparire proprio umano.”
“Siamo stati fortunati, beccato al primo tentativo, non capita spesso – per un attimo mi lascio andare a condividere il suo entusiasmo, poi la precisione di scienziata prende il sopravvento – ma per cortesia rifletti, il test planimetrico in questo momento è inutile, non ti aiuta a capirne la natura ma serve soltanto quando occorre valutare l’ambiente e adesso, intorno a lui, tutti i punti di riferimento sono presenti e ben bilanciati, lo indicano anche gli strumenti, su leggi i valori sulle le linee verdi.”
“Già. Ehi, si muove! Mi pare si stia spostando, là verso l’alone dei fuochi fatui.”
Imbranato ma fortunato, questo giovane futuro quasi-scienzato alla sua prima uscita in VR.
“Eh, è un esemplare davvero ingegnoso, una rarità. Sta già cambiando tecnica, ha una capacità di adattamento straordinaria, in pochi istanti è cresciuto. Sotto la pressione dell’inseguimento, di cui non è neppure certo, è diventato capace di trasferirsi da un raggio luminoso ad un altro con un balzo velocissimo. Adesso si che è il momento di attivare la misura proporzionale dell’area, presto prima che lui sparisca!”
Il visore attivato dal mio collaboratore scannerizza silenziosamente tutta l’area, riproducendone un ologramma in modalità luce visibile, molto scuro e poco definito, mentre una serie di linee e forme geometriche si sovrappongono all’immagine ricalcandone le sagome e calcolando una serie di valori corrispondenti a coordinate satellitari e dimensioni delle aree. Mentre lasciano che il sistema prosegua lo scanning in backgound, decido di impostare la visione senza sovraimpressioni per poter effettuare l’analisi dei livelli di empatia, tramite circuiti biochimici, senza alcun disturbo elettronico.
“Forza Marcus, lascio a te l’onore della prima scansione neuro empatica”.
“Mmmm – inizia incerto per timore di sbagliare, prende tempo per formulare un’ipotesi che so già sarà mezza sbagliata - percepisco solo sagome di alberi con cariche neutrali, come dimostrano le chiome tondeggianti, nuvole di foglie compatte, quasi innaturali – fin qui è scolastico ma va bene, poi si fa coraggio e parla veloce – mentre il terreno è completamente piatto abbassando il livello di paura almeno per chi sta a terra, non ci sono punti di riferimento relativi al pianeta, anche la palude che riflette la luna in diagonale è troppo standard.”
“Attenzione – lo interrompo – hai iniziato bene ma stai procedendo in modo approssimativo, soprattutto non venire a dirmi che non ci sono punti di riferimento. Se miri in alto potresti scoprire la via lattea e le stelle più luminose possono aiutarti a triangolare una rotta o almeno una direzione, che dici?” sorrido della sua ingenuità di principiante, imparerà col tempo a guardare sempre l’insieme prima di soffermarsi sui singoli elementi.
.... to be continued....
 (S.Dini - Inseguiamolo all'infinito - Episodio di fantascienza, su Adam Elsheimer, 1609, Fuga in Egitto)

giovedì 30 agosto 2012

Il calore dell’inverno



Sono esausta. Al mio fianco Duky procede a fatica affondando le energiche zampe nella neve soffice, avvolto dalla nube di vapore del suo stesso fiato. Riesco solo a pensare che devo andare avanti e trovare qualcuno, un aiuto. Ogni tanto il lupo mi rivolge uno sguardo freddo come a mettere in discussione la mia abilità di capobranco, chiede conferma che proseguire sia davvero la scelta giusta. Lo incoraggio, con un cenno del capo e un grugnito fintamente sicuro e autorevole. Da ore mi sono avventurata fra queste colline bianche senza alcun punto di riferimento, salvo una luce calda che colpisce in modo innaturale le alture come fosse un occhio di bue, un faro puntato dal fotografo per dare risalto alla loro tridimensionalità, alla loro morbida curvatura. Vedo solo all’infinito neve, macchie di abeti e la serpentina ghiacciata di un fiume che non conosco ma che sto seguendo per istinto. Come se una qualsiasi esperta di marketing nata e vissuta trentanni in città, fra auto e asfalto, potesse avere la capacità di orientarsi nella natura.
Non conosco nulla di questo territorio, immagino sia il Canada, mi ricorda fortissimamente le inquadrature di Loveroff, ma non ho certo la possibilità di pensare all’arte, le mie priorità in questo momento sono ben altre.
Vi chiederete come sono finita in questo guaio, ma fatico io stessa a capirlo. Pareva un semplice appuntamento di lavoro, con qualche sospetto che volesse trasformarsi in un incontro “di dopo lavoro”, il che stuzzicava la mia vanità, soprattutto essendo sola da un pezzo. Alla mia agenzia è arrivata la classica richiesta di un account dinamico e capace per gestire una campagna innovativa per rilanciare il turismo invernale ecosostenibile di una misconosciuta vallata del norditalia e hanno mandato me per il primo incontro e relativo sopralluogo, tanto per inquadrare il potenziale cliente e predisporre un preventivo. Immaginavo che come al solito avessero già contattato anche qualche agenzia più grande e conosciuta come la Marketshow International o la Pierremila Adv, niente di strano, tutti prima di investire fortemente vogliono confrontare le varie opzioni disponibili. Sono anni che faccio questo mestiere, sono diventata abilissima ad inquadrare il mio interlocutore e non sbaglio quasi mai, perciò dovevo capire che c’era qualcosa di strano e filarmela finchè ero in tempo.
Già soltanto raggiungere la località non è stato facile, per fortuna col navigatore non mi sono persa fra quelle stradine di montagna innevate, strette, piene di tornanti, che mi paiono tutte un po’ uguali e sono riuscita a raggiungere il piccolo centro, ringraziando le quattro ruote motrici dell’auto aziendale. Procedo lentamente cercando dove posteggiare. Un ufficio postale, chiuso, un negozio di alimentari, chiuso, una farmacia, chiusa, l’ufficio comunale con sopra la scuola e sotto l’ambulatorio medico, chiuso. Finalmente una piazzetta, mi fermo. C’è il bar, aperto e mi ci sono infilata. Buio, caldo, legno annerito dai tempi in cui si poteva fumare nei locali, forse anche dalla scarsa pulizia. Solite mensole di bicchieri, bottiglie, specchi, macchinetta del caffè, stranamente nuova, un oste con i capelli unti un po’ infastidito si alza dal tavolino in fondo in cui stava vincendo a briscola con altri tre compaesani in flanella e velluto, e si piazza dietro il bancone:
“Salve, che vuole?”
“Buongiorno anche a lei. Aspetto una persona, intanto mi prepara una cioccolata calda?”
“Mmm, bene, si sieda, gliela porto.”
“Grazie.” Che accoglienza, cominciamo bene; se gli abitanti sono tutti così non sarà facile portare turisti nella zona. Mi siedo nella panca vicino alla porta a vetri, così posso controllare. Subito eccolo, con qualcosa di misterioso e affascinante, un’aura selvaggia, nonostante l’apparenza distinta. Entra, mi individua (non ci voleva certo un investigatore, considerando che oltre a me sono presenti solo anziani del posto). Mi  saluta artigliandomi la mano con dita fortissime e un po’ pelose.
“D.ssa Ruina immagino. Buongiorno, sono Wolfgang  Winterson, mi occupo di ambiente e turismo nella provincia.” 
“Sono io, si, piacere di conoscerla assessore. Mi ha mandata la Comark.”
Ha la voce calda, solo un leggero accento tedesco, occhiali scuri e abbigliamento insolito, bizzarra pelliccia color argento da cui spunta un raffinato completo di fustagno nero di sartoria, capelli e barba incolti come ne ho visti spesso ai barboni e agli artisti. Si accomoda al mio tavolo e senza preamboli entra in argomento, mi mostra alcuni depliant, con poche frasi mi spiega il progetto poi propone un giro con la Jeep nella valle così che io mi renda conto dell’ambiente da valorizzare. L’idea di base è bellissima, scoprire l’anima selvatica di quei luoghi, far vivere al turista un’esperienza di vacanze invernali non addomesticate. Non cerca di conquistarmi, sento che mi tiene lontano. Zero empatia e zero voglia di comunicare con me. Del resto, penso, è un aspirante politico e non posso pretendere che sia gentile o interessato a qualcuno che non gli porterà voti o benefici di carriera ma semplicemente deve svolgere del lavoro. Paga la mia cioccolata e usciamo, come previsto salgo sulla sua auto e mette in moto. Affrontiamo alcune strade convenzionali, case in legno, alcune di nuova costruzione simili alle antiche, balle di fieno incellofanate perché non si bagnino. Non oso chiedergli perché non le mettono più nei fienili, probabilmente mi direbbe che li hanno ristrutturati per ricavarne alberghi e B&B.
Dopo alcuni tornanti il paesaggio cambia e la vallata risulta priva di edifici o interventi umani, è vestita solo di pini e abeti e neve, a perdita d’occhio. E in mezzo c’è il fiume, azzurro, sinuoso, vena che pulsa linfa ghiacciata che dona colore e calore al paesaggio. Freddo lo spazio in cui passiamo, al di qua del fiume, colori cangianti sulle cime che guardiamo, al di là. Un dualismo che promette bene, un creativo ci potrebbe tirar fuori cose interessanti, prendo appunti sul tablet, faccio qualche foto. Lui sempre silenzio. Lo sento aspirare l’aria. Non ha acceso il riscaldamento, mi vengono i brividi, mi stringo nel giaccone, tra un po’ glielo dico perché con quella pelliccia addosso lui non se ne accorge di certo.
Resto rapita dai profili, dai bagliori della neve che si dice candida ma in realtà cattura tutti i colori della terra e del cielo, delle piante e dell’acqua, cambiando ad ogni istante quando la luce la sfiora con angoli diversi. Guardo dal vetro questo spettacolo come una bambina ammira i piccoli mondi racchiusi nelle palline di vetro dopo averle scosse per provocare il caleidoscopio della minuscola tormenta di neve. Qui regna la pace, forse troppa, forse iperrealistica, forse quell’ansa del fiume ghiacciato non è azzurra cristallina ma rappresenta un oscuro pericolo per chi non appartiene a questo micro mondo, liquido alieno...
“Ecco - dico seccamente ai miei collaboratori mentre mi sfilo il prototipo di interfaccia neuronale blue tooth - è stato proprio questo il frame in cui lo scenarious game è andato in crash e si è generata l’immagine pixelata del lupo, con fluttuazioni illogiche o di tipo stocastico. Mi stupisco di voi.”
“Dottoressa creda, non è colpa nostra, certo è un’anomalia grave che però non si era verificata durante le migliaia di ore di test accurati, inoltre...”
“Insomma! Vi rendete conto che se l’avessimo verificata dopo il rilascio avrebbe danneggiato gravemente il database dei netgame? Dobbiamo fare più attenzione a questi problemi, rischiamo di perdere i finanziatori e la nostra fama di eccellenza. Per domani tutti i project manager a rapporto nel mio ufficio, voglio capire come prevenire questi fatti in futuro.”
“Intanto – ordino – affidate agli ingegneri un debug step by step di questo test per con raffronto con le versioni stabili precedenti, che sia pronto per domani.”
“Il sistema sta andando in overflow, dottoressa, dobbiamo interrompere l'esperimento.”
“Ok, può bastare, domattina alle otto tutti in laboratorio per fare il punto.”
Però, quel brivido non era niente male, lo spaesamento, la paure sembravano proprio vere, mentre la versione precedente è stata assai meno coinvolgente. Chissà se il pubblico preferirebbe qualche imprevisto eccitante, ad una sequenza di livelli perfettamente costruita?

(S. Dini - Il calore dell'inverno - Episodio di fantascienza su Frederick Nicholas Loveroff, ca. 1925, “Neve sulla collina”)

domenica 19 agosto 2012

A un passo dalla scoperta



Con la borsa di paglia e gli occhiali da sole esco furtiva di casa, tirandomi dietro la porta, senza far rumore. Non vorrei svegliare gli altri che dormono e poi comincia la solita storia del “Che facciamo oggi?” senza nessuno che prenda una decisione e arriva sera senza far nulla, ciondolando dal salotto alla cucina, ridacchiando e prendendoci in giro a vicenda su difetti inesistenti.
Fuori, finalmente. Respiro piano, sciocco istinto, per paura che anche il minimo soffio possa allertarli e interrompere la mia pausa. E’ metà pomeriggio. Sola, finalmente. Mi incammino verso il cancelletto di legno verde, che si apre sulla viuzza laterale, deserta sotto il sole di ferragosto. Abitanti e villeggianti sono già quasi tutti in paese per la gara di pesca che si concluderà con la grande festa stasera. Processione, fuochi d’artificio, lotteria, frittelle e spettacolo dialettale. Per un giorno all’anno questo posto sembrerà pieno di suoni e di vita, poi ripiomberà nel suo tranquillo vuoto, radi saluti, poche parole fra i pochi abitanti, lontani, come le case e le acacie, come un angolo di mondo rimasto fermo al secolo scorso.
Sola, speranzosa. Procedo spedita nel sentiero sterrato che mi consente di scollinare, fra la ruta che si piega molle per il caldo e sofferenti cespugli di alloro ricoperti di polvere. Arrivata in cima lo sguardo si apre sulla baia, meravigliosa sfumata e contornata di soffici nuvole rosate. Sono lontana e un po’ miope, da questa distanza non riesco a vedere se lui c’è.
Sento il respiro del mare, l’odore acre delle alghe seccate. Percepisco i gabbiani, il loro volo rapido in tondo per puntare lo sguardo acuto sulle piccole sagome scure a pelo d’acqua, e il rapido tuffarsi a capofitto da provetti pescatori come la natura li ha dotati, quasi sempre l’azione si svolge con calma ma se son tanti finisce in una bagarre, per litigarsi a schiamazzi e beccate il territorio. Le cime degli alberi più alti (forse lecci? O faggi? O bossi? Mai l’ho saputo) sono già un pochino ingiallite dall’arsura e da settimane di insolita siccità, come non se ne vede da tanti anni a sentire gli anziani. Dondolano i rami assetati, una monotona danza quasi una preghiera, a chiedere al cielo la pioggia.
La baia, piccola meraviglia. La breve pausa per ammirare il paesaggio anche se l’ho guardato mille volte mi è servita a prendere fiato, non sono molto in forma lo so’ sono sudaticcia e ho pure qualche fitta ai polpacci. Mi sembra di essere dentro alla settecentesca baia di Sydney dello scozzese Thomas Waitling, mentre invece è la Liguria del secondo millennio, ci sono i capannoni e il posteggio dei TIR appena dietro la curva che si infila sotto ponte dell’autostrada A10, ma da qui gli elementi attuali non si vedono, coperti dal fogliame, e lo scorcio ha un che di fiabesco.
Stavolta però vedo qualcosa di strano. Dove alcuni tronchi tagliati da troppo tempo stanno ammuffendo a margine del sentiero, un gruppo di persone bivacca intorno ad un fuoco improvvisato, pericoloso, troppo vicino al canneto. Finiranno per incendiare la riva, bisognerebbe che qualcuno li avvisasse, istruendoli del pericolo. Sul versante opposto dell’insenatura, gli appezzamenti di terra coltivata ad ortaggi nella caratteristiche forma a terrazze, per ricavare maggior spazio pianeggiante lungo le pendici della collina. Si staglia su tutto una vecchia casa austera, in stile colonico, intonaco rosa antico e piccole persiane dipinte di verde, e più in qua un gruppo di casupole color tortora sbiadita, tristi come prigioni. Cerco conforto nelle vele dei nuovi ricchi ormeggiate nell’insenatura, che presto se ne andranno per lasciare spazio solo ai gozzi dei pescatori nostrani; in realtà sono solo gli anziani che ormai pescano, per hobby o per i turisti, perché non rende mica più. I figli sono tutti in città, alcuni tornano in estate, altri resistono facendo i pendolari, tutti hanno messo a frutto diplomi e lauree per lavori grigi, noiosi ma retribuiti; qui vengono in estate, per il clima quando hanno messo su famiglia perché tant’è dispiace non esser parte di questo quadro. Capita di sorprenderli a volte fermi di fronte all’acqua, la sera, a respirare i coriandoli argentati che la luna spruzza sulle increspature, uno stile inconfondibile messo a punto in millenni di notti passate a disegnare su distese d’acqua, instancabile, che se i suoi raggi fossero di vera vernice sarebbe in gara con i writer. Capita anche di giorno vederli percorrere lentamente il sentiero di terra gialla che porta fino alla spiaggia, accennando qualche saltino, tirando qualche calcio ai sassi per dare sfogo all’emergente ricordo di quando-ero-bambino-giocavo-qui.
E’ li che non oso guardare, lì proprio nel vialetto. Perché è da lì che deve arrivare. Se arriva davvero. Perchè chissà se quell’ultimo tweet era diretto a me o se più facilmente giocava, gettando parole poetiche nel web per far adescare qualche nuova e interessante fanciulla residente in località di mare. Sto diventando malinconica, in modo poetico, o sarebbe più giusto dire che sono triste e mi deprime parecchio l’idea che la nostra storia sia perduta. Ma è davvero mai cominciata? 
L’autunno scorso, un caso ci ha fatti conoscere qui su queste rive, per me è stato davvero importante, quella settimana in cui gli ho fatto da guida nei miei luoghi, in cui ho imparato a vedere queste rive con occhi diversi, con i suoi, ora come un turista ora come un reporter, per assecondare le sue esigenze di fotografo. Quella sua chioma riccioluta, il profilo greco, non bello ma molto misterioso e intrigante. La mia solitudine, da troppo tempo sola e senza una storia. Tanto è bastato per cominciare, ma sapevo da subito che sarebbe finita in un istante, finale scontato e prevedibile.
Poi le sue e-mail e quei messaggi sul blog dal titolo esagerato, “Fotodhramatik”, sembrava parlasse dei nostri momenti in questi luoghi. Poi i suoi successivi viaggi, Londra, Russia, Cina, gli hanno fornito altre immagini da postare e altre parole da raccontare.
Eppure mi pare di intravedere un guizzo, una figura alta, slanciata, come la sua, con una maglia rossa. E’ tornato? E’ tornato? Ma, non è solo, chi gli sta accanto? Sembra un ufficiale d’altri tempi o forse è solo la mia vista che sta di nuovo perdendo definizione. Si sono fermati, ora stanno ridendo, sottovento mi arrivano le loro parole, la sua voce calda in contrappunto con una più acuta ma femminile non si può certo dire, è solo la gelosia che mi sta arrivando. Mi distoglie l’abbaiare di un cagnolino che saltella impaziente di proseguire, sembra Jimmy, il mio Jack Russel, compagno per tanti anni. Mi precipito in discesa, voglio andargli incontro, scoprire tutto…
“Oh, finalmente eccovi, Dottoressa Ruina, siete rimasta indietro e Marcel ed io ci siamo preoccupati e stavamo giusto percorrendo la strada all’indietro per venire a cercarvi.”
“Ciao Gabriele – rispondo al mio assistente mentre mi sfilo gli occhialini 3D – e buonasera Professor Duchet. Tranquilli, niente di insolito, la sbornia di sogni però stavolta ha implicato l’upload di parecchi petabyte e ho dovuto intervenire a resettare il buffer un paio di volte. Per questo mi sono attardata, inoltre credevo proprio di riuscire a individuare il punto di break-heaven ma anche stavolta si è spostato, dobbiamo riconsiderare una variabile aggiuntiva legata alla qualità dei frame.”
“Very interesting! But… ma la prego, quando è sola non esageri con la connessione alla dimensione aumentata, almeno finchè non abbiamo trovato l’antidoto per ripristinare le sinapsi alla connessione con il reale.”
“Per oggi basta prove, tutti liberi, ci troviamo domattina alle 8 in laboratorio per analizzare i dati.”
Sorrido al mio tecnico, la sua preoccupazione è corretta ma siamo ad un passo da un‘importante scoperta scientifica e val la pena rischiare, la scienza lo richiede e anche la mia ambizione di scoprire qualcosa che cambierà il modo di vedere le cose. Con un cenno saluto e tiro dritta per la mia strada, so che dietro la curva troverò la solita vita, vera, solida, fisicamente comprovata e reale. Almeno credo. E’ inevitabile sognare incessantemente quando vivi in un posto che è come un dipinto d’autore.
 
(S. Dini - A un passo dalla scoperta - Episodio di fantascienza su T. Waitling, 1794 “Veduta sulla Baia di Sydney da Nord”)

Blog del Pensiero Aurasmagorico



Micro racconti di fantascienza da mixare "in stile aurasmagorico" a celebri opere d’arte

www.aurasma.com

E’ iniziato tutto un giorno di metà agosto, reso torrido dall’ennesimo anticiclone africano che i meteorologi avevano simpaticamente soprannominato Lucifero; dopo aver letto alcuni articoli sul futuro dell’informatica, in particolare l’app chiamata “Aurasma” che consente di miscelare insieme immagini della realtà fisica con contenuti virtuali, sono andata in centro per infilarmi nella frescura condizionata della libreria Feltrinelli sicura che qualche libro era in cerca di me.
Ed ecco comparire “1001 dipinti: una guida completa ai capolavori della pittura” a cura di S. Farthing, volume del peso di una mattonella, con le rappresentazioni figurative più belle che l’umanità abbia prodotto e miracolosamente conservato. E l’ho fatto mio, nonostante fosse di carta, nonostante io adori libri e giornali fatti di bit. Molte immagini le conoscevo già, tanto sono famose, altre sono state una piacevole scoperta. In ogni caso mi ha emozionato questo spettacolo per gli occhi racchiuso in un solo volume, come il tesoro dei pirati comodo dentro ad un gonfio baule.
Non so come questo librone vecchia maniera, stracolmo di arte, con le sue pagine bellissime, lucide e colorate ha risvegliato in me un irrefrenabile desiderio di teletrasportarlo nell’era digitale, sovrapponendo sopra ogni opera reale, uno o più strati di ir-realtà aumentata.
Direi che mi ha dato lo spunto per viaggiare in modo virtuale, con la fantasia, proprio l’anno in cui crisi economica e magro stipendio mi hanno precluso la possibilità di una vacanza o di un viaggio vero.  Per fortuna abitando in Liguria ho potuto passare qualche pomeriggio al mare, dove mi hanno fatto compagnia sotto l’ombrellone questi preziosissimi manufatti d’arte e dato che in spiaggia si chiacchiera, ci si racconta,  da questa confidenza sono uscite le mini storie che vi propongo, assolutamente frutto d’invenzione, profondamente legate alla scienza e alla fantascienza, linguaggi ideali per proiettare sguardi insoliti e nuovi su opere antiche ed eterne quanto i desideri e le pulsioni umane.
Con sentimento innovativo ho sfogliato, guardato, fantasticato e alla fine, grazie alle parole, ho pennellato storie virtuali sulle immagini più suggestive di ogni epoca, in un mix di livelli, alla ricerca di uno stile narrativo ibrido che mi piacerebbe poter definire aurasmagorico.
Voglio condividere alcuni racconti su questo blog, troverete gli altri nella pubblicazione che uscirà a breve.

p.s. Per come li ho pensati, mi piacerebbe anche diventassero episodi per il piccolo schermo, naturalmente lavorandoci un po' su e ampliando i dialoghi.
Silvia Dini

Translate